Spire e sospiri di Ele TheOutsider

cw24Lo vidi davanti a quel palazzo. Pioveva. Si stava proteggendo sotto il cornicione: avevo pensato a lui per tutto il giorno. Sorrisi, come fosse un’idea peccaminosa che non potevo permettermi, e abbassai lo sguardo arrossendo come se lui potesse leggere i miei pensieri. Che idea sciocca, pensai. Lui non immaginava neppure che io lo stessi spiando dalla vetrina del bar dall’altra parte della strada. La pioggia battente sfumava i contorni delle auto in corsa e il cielo grigio faceva sembrare quella parte di periferia ancora più buia a triste.
Lui guardò nervosamente l’orologio poi il cielo grigio, alzando il bavero del giubbotto per ripararsi dal freddo. Che scemo, non aveva portato l’ombrello; eppure la meteo aveva chiaramente predetto pioggia. Quella sua sbadataggine mi era sempre piaciuta, insieme alla sua dolcezza e ai suoi occhi chiari.
Ero in ritardo, di proposito. Non lo sono mai. Volevo godermi lo spettacolo ancora un po’, guardarlo da lontano, immaginare i suoi pensieri.
Vidi che cominciava ad agitarsi; erano passati quindici minuti dall’ora dell’appuntamento. Sorrisi di nuovo, poi aprii l’ombrello e uscii dal bar.
– Hey ciao! Scusa il ritardo. –
– Hai scelto proprio la giornata peggiore per farti aspettare. –
– Ti ho chiesto scusa… –
– Allora cosa vuoi? –
– Noto che oggi sei di buon umore… –
– Lo ero, fino a che tu non mi hai chiamato dicendomi che dovevi assolutamente parlarmi… questione di vita o di morte. Allora, cosa mi devi dire di tanto importante? –
– Speravo saresti stato felice di vedermi… io lo sono. –
– E perché dovrei, scusa. Non stiamo più insieme, ricordi? Non sei la persona che voglio al mio fianco, te l’ho detto fin dall’inizio. Mi dispiace che tu abbia pensato che fra noi ci fosse una storia solo perché siamo stati insieme per un anno. Fra noi è finita e vorrei che tu te ne facessi una ragione. Vivi la tua vita e lasciami vivere la mia. – Fece una pausa scrutando il mio viso, ma io non riuscii a parlare.
– Emma… se mi hai fatto venire fin qui perché speri di riaggiustare le cose, beh, sappi che non è possibile. Ti saluto. – Si girò per andarsene, ma io lo presi per un braccio e lo trattenni.
– Aspetta! Non ti ho fatto venire per questo. Scusa, avrei dovuto dirtelo prima… – dissi guardandolo con aria mortificata – … e ti prego non mi parlare in quel modo… mi hai già ferita abbastanza, non credi? Io ti volgio bene, lo sai… –
– Questo non cambia le cose. –
– Lo so… – sospirai abbassando gli occhi per ricacciare indietro le lacrime.
Un silenzio imbarazzante ci avvolse. La pioggia era diventata la mia voce, quella delle lacrime che avevo versato, e che ancora premevano per uscire.
Fu lui a rompere quel silenzio.
– Allora, mi vuoi dire cosa c’è? –
Deglutii e mi schiarii la voce.
– Beh, è un po’ imbarazzante… ma prima che… sì insomma, che tu mi mollassi, io ti avevo preso un regalo. Era per il nostro primo anniversario, lo stesso giorno in cui tu, beh… –
Pronunciare quelle parole mi riportò indietro al giorno del nostro primo anniversario. Lui stava in piedi, davanti a me, girato di profilo come se non vedesse l’ora di andarsene. Con voce atona mi fece il suo bel discorsetto, guardandomi cambiare espressione e piangere senza batter ciglio. La sua maschera imperturbabile non fu scalfita dalle mie parole accorate, né dalle mie suppliche. Rimase ad ascoltarmi impassibile poi, con una scusa, se ne andò.
Adesso come allora, lo guardavo negli occhi sperando di trovarvi un briciolo di quella dolcezza che mi aveva stregato. Trovai solo il gelo.
Avevo sperato che si fosse reso conto dell’errore commesso lasciandomi, ma evidentemente non era così.
Mi rimpiangerai… pensavo… mi rimpiangerai amaramente.
– Allora? – La incalzò lui.
– Scusa… pensieri… Dicevo che ti avevo preso un regalo. Vederlo in giro mi fa male al cuore. Per cui avevo deciso di dartelo comunque. –
– Non credo di volerlo. –
– Ed io non voglio tenerlo! È una cosa che avevo preso apposta per te… io non me ne faccio di nulla e ad altri non la posso dare. Per cui, ti sarei grata, se tu mi facessi quest’ultimo favore e te la portassi via… Ti prego. –
– Ma cos’è? –
– Non vorrai mica che ti rovini la sorpresa? – Disse lei maliziosa.
– Va bene, ma facciamo presto. Ne ho abbastanza di questa pioggia. Dammi questo regalo e facciamola finita. –
– Beh, è un po’ voluminoso non ce l’ho con me. Seguimi l’ho messo in un garage qui vicino. –
– Addirittura? Ma cosa diamine mi hai regalato, una macchina? Non ti pentirai mica di questa tua decisione? – adesso sembrava divertito. Fantastico! Ero riuscita ad allentare la tensione.
– Oh no, credimi… non mi pentirò affatto… –
Mi incamminai sotto l’ombrello verso una delle stradine laterali. Lui, ostinato, camminava sotto la pioggia non volendo dividere con me quello spazio ristretto. Neppure fossi un’appestata.
Questo mi feriva. Come mi avevano ferito i suoi modi, le sue parole e la sua freddezza quando aveva messo fine alla nostra storia. Storia per modo di dire… io mi ero illusa che fossimo una coppia, mentre lui mi aveva sempre considerato alla stregua di un accessorio da usare nei weekend.
– Eccoci siamo arrivati. – Dissi fermandomi davanti a una saracinesca abbassata.
– Mi reggi l’ombrello per favore mentre apro? Ti avverto, non si apre fino in cima. Dovrai abbassarti per entrare. –
– Ok – fece laconico lui tenendo svogliatamente l’ombrello.
– Prima tu. – lo invitai sorridente con un gesto della mano.
– Qua dentro è buio pesto… – la sua voce fare eco nella stanza – E c’è una puzza strana! –
– Dammi un secondo che entro e accendo la luce! – Dissi prima di richiudere la saracinesca e dare due mandate alla serratura.
– Hey ma!? Cosa fai? – gridò.
– Niente… ti do il tuo regalo, no? –
– Fammi uscire da qui! – strillò iniziando a dare colpi alla lamiera.
– Smettila di far rumore o lo spaventerai… –
– Spaventare chi? Cosa stai dicendo? Fammi uscire!! Tu sei pazza! –
– Sì, pazza… ero pazza di te e tu mi hai usata! Mi hai illusa per un anno intero poi, quando ti sei stufato, mi hai gettata come se fossi immondizia… la tua è stata una grave mancanza di rispetto. Credevi che mi sarei arresa così facilmente? Davvero? Allora non mi conosci affatto. Mio dolce tesoro, rimpiagherai la tua decisione per tutta la vita… o almeno per quel poco che ti rimane da vivere… –
– Adesso mi minacci? Se credi di passarla liscia dopo questo scherzetto ti sbagli di grosso. Non puoi tenermi prigioniero per sempre. Apri questa maledetta saracinesca! –
– Smettila di battere… te l’ho detto… Ah, a proposito, ti ricordi del mio amico Claudio? –
– Basta con le cazzate! Non me ne frega niente del tuo amico Claudio! Apri ti ho detto!!! –
– Beh, invece dovrebbe importarti. Vedi Claudio ha sempre avuto una grande passione per gli animali, meglio se esotici e voluminosi. –
– Ma… cos’è? Qualcosa mi ha toccato il piede! Cosa c’è qui dentro? Non vedo nulla con questo buio! –
– Hai ragione tesoro, scusa, ti avevo detto che avrei acceso la luce. Eccoti accontentato… Come va ora? Meglio?-
Lo sentii sbattere contro la saracinesca con tutto il suo peso e, dopo qualche istante di silenzio, ricominciò ad accanirsi furiosamente contro la lamiera.
– Oh mio dio, Emma fammi uscire da qui! Volevi parlare? Parliamo! Risolviamo le cose in modo civile… ma levami questa dannata bestia di dosso! – Continuava a gridare e a battere… povero piccolo, doveva avere le mani distrutte. Suoni strascicati e scalpiccii… poi ancora grida e pianti. Chiedeva pietà.
– Ma come? Adesso vuoi parlare? E cosa avresti da dire che non mi hai ancora detto? Altre cattiverie? No grazie… passo. –
Si sentivano rumori di colpi attutiti, stava provando a difendersi, ma la cosa non mi preoccupava. Non c’era niente nel garage che avrebbe potuto essere usato come arma. Mi ero assicurata di togliere tutto, lasciando solo le piante e il laghetto artificiale del terrario. Per quanto Roberto cercasse di scappare non poteva sfuggire a Filiberto e ai suoi tre metri di lunghezza.
A giudicare dai rumori e dai lamenti, non c’era voluto molto prima che il pitone cominciasse ad avvolgere le sue spire.
– Ti prego… Tirami fuori di qui… Non riesco a staccarlo… fallo smettere… –
– Troppo tardi, tesoro. Mi hai detto che ero soffocante? Mi hai detto che dovevi liberarti di me per respirare e vivere la tua vita? Prova a ripeterlo al serpente, vedi se riesci a convincerlo… –
Mi addossai con la schiena alla saracinesca e mi lasciai scivolare a sedere, poi chiusi gli occhi appoggiai la testa all’indietro. Sentivo che si dimenava, che grattava la lamiera. Sentivo il rantolo del suo respiro affannoso frapporsi a quello della pioggia insistente. Lui continuava a implorare pietà con voce sempre più flebile, io ascoltavo impassibile i suoi lamenti. Un piccolo tonfo poi silenzio.
Rimasi ancora un attimo con gli occhi chiusi, poi mi girai e appoggiando il viso alla lamiera sussurrai – Te lo avevo detto, amore mio, che avresti rimpianto la tua decisione –
Dall’altra parte mi rispose il vuoto.

Questa voce è stata pubblicata il 14 aprile 2015 alle 11:23 ed è archiviata in Senza categoria. Aggiungi il permalink ai segnalibri. Segui tutti i commenti qui con il feed RSS di questo articolo.

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